ROSKOMOS: UN RIENTRO PREVISTO, MA INCONTROLLATO
L’Unione Sarda dell’11 maggio 2025 riferisce che la sonda Roskomos, lanciata dall’ex Unione Sovietica per una missione mai completata verso Venere, è tornata sulla Terra dopo aver trascorso 53 anni nell’orbita terrestre. Tuttavia, il punto esatto dell’impatto rimane ignoto.
Le stime fornite dalle principali agenzie spaziali risultano discordanti. Da un lato, l’Agenzia spaziale russa ha indicato, come possibile luogo del rientro, l’Oceano Indiano. Dall’altro, l’US Space Force ha suggerito il Pacifico Meridionale, con un margine di incertezza di più o meno 12 minuti. Una finestra temporale apparentemente contenuta, ma che, su scala terrestre, si traduce in migliaia di chilometri di differenza nella potenziale zona di impatto.
Anche il Centro dell’Aeronautica Militare di Poggio Renatico (COA), coinvolto nel monitoraggio, ha registrato l’ultimo avvistamento dell’oggetto alle 8:04 ora italiana, con un’incertezza di più o meno 20 minuti. Un dato che, nonostante l’impiego di tecnologie radar avanzate e sistemi di tracciamento altamente sofisticati, non ha consentito di determinare con precisione l’area dell’impatto.
L’evento pone l’attenzione sui limiti attuali dei sistemi di sorveglianza e tracciamento dei detriti spaziali, evidenziando le difficoltà, anche da parte delle principali agenzie, nel formulare previsioni affidabili riguardo ai rientri atmosferici.
Lo stesso Centro, sede del Comando Operazioni Aerospaziali, svolge un ruolo cruciale nella gestione della sicurezza spaziale, collaborando con l’Unione Europea attraverso il Consorzio
Europeo Space Surveillance and Tracking (EU-SST).
Tuttavia, le recenti difficoltà nel determinare con precisione l’area di rientro della sonda Roskomos evidenziano le sfide tecniche e operative ancora presenti. Di conseguenza, risulta necessario uno sviluppo tecnologico coordinato a livello internazionale, al fine di affrontare in modo più efficace i rischi associati alla gestione dei rientri incontrollati dei detriti spaziali.
Allo stesso tempo, l’episodio mette in luce una problematica strutturale di fondo: al momento, non esistono sistemi di difesa attiva in grado di proteggere il territorio terrestre dal rientro incontrollato di oggetti spaziali. Il fattore principale che contribuisce a contenere il rischio è di natura puramente statistica: oltre il 70% della superficie terrestre è coperto da oceani, e la maggior parte degli oggetti tende a disintegrarsi nell’atmosfera. Tuttavia, questo approccio rappresenta un mero affidamento al caso.
Il caso della sonda Roskomos conferma che le stime sui rientri incontrollati restano inaffidabili e le possibilità di intervento pressoché nulle.
A ciò si aggiunge un altro aspetto critico: il sistema giuridico attuale, basato su trattati degli anni ’60 e ’70, non è adeguato ad affrontare le sfide moderne, essendo frutto di un contesto sociopolitico profondamente diverso da quello attuale. Strumenti come il Trattato sullo Spazio e la Convenzione sulla Responsabilità, sebbene forniscano una base per la cooperazione internazionale e la responsabilità in caso di danni, non prevedono strumenti efficaci per la gestione delle responsabilità conseguenti alla caduta sulla superficie di detriti spaziali.